Distanze fra le costruzioni: anche i balconi vanno considerati

Le distanze fra le costruzioni sono regolate dalle legge per vari motivi: perché ogni proprietario possa godere del suo immobile con il minor sacrificio per il vicino e per se stesso o, se necessario, con pari sacrificio; per evitare che si creino situazioni insalubri che possano diventare fonti di discordia e sgradevoli battibecchi e per molte molte altre ragioni.

Ma quali sono i criteri di misurazione delle distanze in edilizia? Quali le leggi che regolamentano la materia?

Di seguito i dettagli di un tema sempre attuale, più che mai complesso e perennemente dibattuto.


La misura della distanza è da riferire, per espressa previsione letterale della norma, dalle pareti di edifici che si fronteggiano. Si tratta di una misura da parete a parete senza considerare scale, terrazze e corpi aggettanti non corrispondenti a volumi coperti, anche se destinati a estendere e ampliare la consistenza del fabbricato, come invece accade per le costruzioni civilistiche.
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dei criteri per la misurazione delle distanze in edilizia tra fabbricati. Con la sentenza 7285/2005, per esempio, la Suprema Corte asserisce che la misura della distanza si applica, in analogia con la distanza prescritta dall’art. 873 c.c., soltanto alle pareti che si fronteggiano e la misurazione deve essere effettuata in modo lineare e non radiale (o a raggio), come invece previsto in materia di vedute (art. 907 c.c.).

Sempre la Cassazione, con la sentenza 2975/1998, scrive che la misurazione lineare del distacco, sempre limitatamente alle pareti che si fronteggiano, deve essere eseguita in linea perpendicolare (ortogonali) tra fronti diversi.

Nelle distanze in edilizia tra costruzioni, tra i corpi di fabbrica da inserire nel computo rientrano anche i balconi di apprezzabile ampiezza. Solo gli aggetti di modeste dimensioni con funzione decorativa e di rifinitura non vanno inseriti nel computo.

Il Codice Civile (art. 873) che prescrive che le costruzioni realizzate su fondi confinanti, se non aderenti, devono essere poste alla distanza di almeno 3 metri (o alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali, emanati nel rispetto delle norme statali e regionali);

Il D.M. 1444/1968 stabilisce, all’art. 9, le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee.

Per i nuovi edifici è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Nelle Zone C (parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi) è prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto. Le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli, inoltre, devono essere pari alla larghezza della strada aumentata, per ciascun lato, di:

  • 5,00 m , per strade di larghezza inferiore a 7 m;
  • 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 e 15 m;
  • 10,00 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m;

Sono ammesse distanze inferiori:

  • in Zone A (centri storici) per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni. Le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
  • nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
A cura di REDAZIONE CASETRENTINE.IT - Fonte EDILTECNICO
28 gennaio 2014 articoli casa , comuni

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